Caso Avastin/Lucentis: la Corte di Giustizia si pronuncia sulla definizione del mercato rilevante nel settore farmaceutico e sul legame tra intese restrittive e accordi di licenza.
Milano, 5 febbraio 2018 – Il caso Avastin/Lucentis, che dal 2014 vede coinvolte le imprese farmaceutiche Hoffmann-LaRoche e Novartis, dapprima nell’istruttoria condotta dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e, dopo, davanti al TAR Lazio e al Consiglio di Stato, è di recente approdato alla Corte di Giustizia, investita dal Consiglio di Stato del giudizio di rinvio su alcune questioni di natura pregiudiziale per la decisione della causa.
Secondo la ricostruzione dell’Agcm, confermata dal TAR Lazio, le due imprese avrebbero posto in essere un’intesa restrittiva della concorrenza con riguardo a due farmaci, Avastin e Lucentis.
Prima dell’immissione in commercio del Lucentis, Avastin veniva prescritto per la cura di patologie oftalmiche non menzionate nell’AIC (autorizzazione di immissione in commercio) del farmaco, essendo quindi commercializzato anche in modalità c.d. «off-label».
Dopo l’immissione in commercio del Lucentis, specificamente pensato per le patologie trattate in off-label con Avastin, quest’ultimo ha continuato ad essere prescritto come farmaco equivalente in misura apprezzabile, grazie al suo costo unitario inferiore rispetto a Lucentis, divenendo quindi il principale concorrente di quest’ultimo.
Stando a quanto ricostruito dall’Agcm, Roche (licenziataria dei diritti di sfruttamento commerciale di Avastin) e Novartis (licenziataria dei diritti di commercializzazione di Lucentis) avrebbero posto in essere una strategia di mercato volta a diffondere notizie in grado di ingenerare preoccupazioni sulla sicurezza dell’impiego oftalmico dell’Avastin, al fine di intervenire sulla sua qualificazione come valido farmaco equivalente e disincentivarne le vendite a favore di Lucentis, venduto a un importo superiore, con significativo aggravio della spesa a carico del Servizio Sanitario nazionale.
Le due imprese, sanzionate dall’Agcm, hanno impugnato la decisione dell’Autorità, e al momento la controversia pende innanzi al Consiglio di Stato. Nell’ambito del giudizio d’appello ancora pendente, i giudici di Palazzo Spada hanno deciso di rimettere alla Corte di Giustizia la risoluzione di alcune questioni pregiudiziali, riguardanti l’interpretazione dell’art. 101 TFUE, con riferimento, in particolare, alla definizione del mercato rilevante per i prodotti medicinali e al regime delle intese restrittive concluse nell’ambito di accordi di licenza.
Chiamata a pronunciarsi, la Corte di Giustizia ha emesso una decisione destinata a segnare le future decisioni in materia antitrust nel settore farmaceutico.
Con sentenza del 23 gennaio 2018 (http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?text=&docid=198644&pageIndex=0&doclang=it&mode=req&dir=&occ=first&part=1&cid=1184787), la Corte, in primo luogo, ha affermato che un’autorità nazionale della concorrenza può includere nel mercato rilevante, oltre ai medicinali autorizzati per il trattamento di una data patologia, altri medicinali il cui AIC non copra detto trattamento, ma che siano validi sostituti dei primi tramite impiego off-label.
Secondo la Corte, quindi, la definizione del mercato rilevante con riguardo ai prodotti farmaceutici non è limitata dal fatto che l’AIC di un prodotto non ne preveda espressamente l’impiego per un determinato trattamento, laddove tale impiego invece avvenga off-label. Ne deriva che prodotti dotati di AIC per un dato trattamento e prodotti impiegati off-label per lo stesso possono, in linea di principio, essere considerati parte del medesimo mercato e, pertanto, diretti concorrenti.
Inoltre, la Corte ha chiarito che l’accordo tra le imprese che commercializzano due medicinali concorrenti, che prevede, tra le altre cose, la diffusione di informazioni ingannevoli sugli effetti negativi dell’uso di uno di tali medicinali per il trattamento di patologie non coperte dall’AIC dello stesso, al fine di ridurre la pressione concorrenziale sull’uso dell’altro medicinale, costituisce un’intesa “per oggetto”, ossia una restrizione fondamentale.
Per tale ragione, afferma la Corte, tale accordo restrittivo non può essere valutato ai sensi dell’art. 101 paragrafo 3, il quale permette di esentare dal divieto quelle intese che apportano particolari benefici alla concorrenza. Tale esenzione, precisa la Corte, non sarebbe in ogni caso applicabile nel caso di specie, in quanto l’intesa raggiunta non risulta indispensabile ai fini dell’attuazione degli accordi di licenza in vigore tra le parti e, pertanto, non soddisfa una delle condizioni richieste dal richiamato paragrafo 3 ai fini dell’esenzione.
La decisione della Corte appare molto significativa. La stessa, infatti, interviene su aspetti molto delicati della valutazione e qualificazione delle intese nel settore farmaceutico, nel quale l’esame delle condotte anticoncorrenziali subisce l’inevitabile influenza del regime regolatorio applicabile.
Sotto questo profilo, assume estrema rilevanza, in particolare, l’affermata possibilità (anzi, necessità) di mantenere la definizione del mercato rilevante a livello di concreta (e lecita) sostituibilità dei prodotti, sganciandola dalle formali previsioni circa la commercializzazione per determinati impieghi terapeutici.
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