Arbitrato irrituale societario *
La disciplina dell’arbitrato irrituale, e in specie dell’arbitrato irrituale in materia societaria, presenta diverse lacune e incongruenze. Nondimeno, si tratta di un fenomeno di innegabile rilevanza pratica, posto che circa un quarto degli statuti contenenti una clausola compromissoria devolvono le liti societarie ad arbitri irrituali (tanto è risultato dallo studio di Assonime n. 5/2017, L’arbitrato societario nella prospettiva delle imprese: in un campione di 59 clausole compromissorie statutarie, 16 di queste prevedevano un arbitrato irrituale).
Il dato sorprendente nel contesto appena delineato è che siano piuttosto rari i precedenti (o quanto meno, i precedenti editi) che hanno offerto un’interpretazione di alcuni dei passaggi normativi in cui il linguaggio del legislatore è risultato particolarmente oscuro.
Uno di questi passaggi concerne il rapporto tra arbitrato irrituale e impugnazione delle delibere adottate dalla compagine sociale (lasciando sullo sfondo la questione, che qui non interessa, se le norme che saranno indicate in appresso trovino applicazione solo con riferimento alle delibere assembleari o anche avuto riguardo a quelle consiliari).
Il d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, contiene un fugace riferimento all’arbitrato irrituale: “La devoluzione in arbitrato, anche non rituale, di una controversia non preclude il ricorso alla tutela cautelare a norma dell’art. 669-quinqueis del codice di procedura civile, ma se la clausola compromissoria consente la devoluzione in arbitrato di controversie aventi ad oggetto la validità di delibere assembleari agli arbitri compete sempre il potere di disporre, con ordinanza non reclamabile, la sospensione dell’efficacia della delibera”.
Questo fugace riferimento ben si comprende se si considera il periodo storico in cui la disposizione in commento è entrata in vigore. Si dubitava invero della sussistenza di poteri cautelari in capo al Giudice statuale, in presenza di una clausola compromissoria per arbitrato irrituale; poteri questi che sono poi stati confermati, alla vigilia della riforma del diritto dell’arbitrato del 2006, con il d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito in l. 14 maggio 2005, n. 80.
Ma, oltre a indicare l’ammissibilità della tutela cautelare, questo fugace riferimento pure indica all’interprete l’ammissibilità dell’arbitrato irrituale in materia societaria.
Sennonché, la situazione è complicata da una successiva disposizione del medesimo d.lgs. 5/2003: “Anche se la clausola compromissoria autorizza gli arbitri a decidere secondo equità ovvero con lodo non impugnabile, gli arbitri debbono decidere secondo diritto, con lodo impugnabile anche a norma dell’art. 829, secondo comma, del codice di procedura civile quando per decidere abbiano conosciuto di questioni non compromettibili ovvero quando l’oggetto del giudizio sia costituito dalla validità di delibere assembleari” (art. 36, co. 1).
La disposizione ha indotto voci anche autorevoli in dottrina, nonché diversi Giudici di merito, ad affermare che “L’arbitrato avente ad oggetto la validità di una delibera è rituale”, ossia necessariamente rituale (così Trib. Milano, S.S.I.B, 8 gennaio 2021, n. 98).
Risulta pertanto particolarmente interessante una recente pronunzia del Tribunale di Brescia (Trib. Brescia, S.S.I., 1° marzo 2021, n. 545), che ha affrontato direttamente il tema.
Un socio di una s.r.l. aveva impugnato, per ragioni che qui non interessano, la delibera, adottata dall’assemblea sociale, di riduzione del capitale per perdite al di sotto del minimo legale e di contemporaneo aumento del medesimo ex art. 2482-ter cod. civ.
Lo statuto della società conteneva una clausola compromissoria che nulla disponeva sulla natura del procedimento, rimettendo all’arbitro la determinazione delle formalità di procedura, e che prevedeva che il Tribunale arbitrale avrebbe pronunziato secondo equità.
In sede di costituzione del Tribunale arbitrale – tanto emerge dal testo della sentenza in commento – le parti hanno confermato “espressamente che il presente arbitrato deve intendersi a tutti gli effetti irrituale e che l’Arbitro Unico deciderà la controversia secondo equità”.
Il lodo ha accolto l’impugnativa proposta dal socio ed è stato impugnato dagli altri soci e dalla società avanti il Tribunale di Bergamo, dichiaratosi incompetente in favore del Tribunale di Brescia, Sezione Specializzata Impresa.
Riassunto il procedimento avanti il Tribunale di Brescia, il Giudice istruttore della causa ha provocato il contraddittorio sulla questione, rilevata d’ufficio, della potenziale nullità della clausola compromissoria statutaria e del lodo, reso in forza di tale clausola, per violazione dell’art. 36 d.lgs. 5/2003, trattandosi di lodo, in materia di validità di delibera assembleare, irrituale e pronunciato secondo equità.
E tale questione di nullità è stata ritenuta fondata dal Tribunale.
Il Giudice statuale ha invero rilevato che la legge impone, in materia di impugnazione di delibere societarie, “il deposito di un lodo impugnabile ai sensi dell’art. 829, secondo comma, c.p.c. (ossia di un lodo rituale)”.
Il Tribunale ha poi aggiunto che l’art. 26 d.lgs. 5/2003 produce gli effetti di cui all’art. 1419, co. 2, cod. civ., determinando la sostituzione di diritto della parte della clausola compromissoria affetta da nullità.
Tale meccanismo, sempre ad avviso del Tribunale, preclude la declaratoria di nullità della clausola compromissoria, da ritenere automaticamente adeguata alla norma imperativa, come del resto statuisce lo stesso art. 36 d.lgs. 5/2003. Nel contempo, avrebbe imposto all’arbitro unico, una volta investito della controversia, di accertare preliminarmente la nullità parziale della clausola compromissoria e prendere atto del meccanismo di sostituzione automatica previsto dall’art. 36 del d.lgs. 5/2003, prospettando alle parti, in sede di accettazione dell’incarico, la necessità di pronunciare (i) un lodo rituale e (ii) secondo diritto, a dispetto del contenuto (parzialmente invalido) della clausola stessa.
Poiché però ciò non è avvenuto, il Tribunale di Brescia ha pronunciato la nullità del lodo impugnato.
In definitiva, l’orientamento espresso dal Tribunale di Brescia è quello secondo il quale:
- uno statuto sociale può contenere una valida clausola compromissoria per arbitrato irrituale;
- tale clausola diviene nondimeno nulla, ove oggetto della lite devoluta agli arbitri sia quello indicato dall’art. 36 d.lgs. 5/2003;
- in conseguenza della nullità parziale della clausola, opererebbe il meccanismo di sostituzione automatico di cui all’art. 1419, co. 2, cod. civ.;
- ove però l’arbitro di tanto non si avvedesse, e pronunziasse un lodo irrituale, esso sarebbe nullo.
Non sono pochi i passaggi problematici del ragionamento del Tribunale e soluzioni diverse alla questione sono possibili, seppur richiedano maggior sforzo interpretativo.
Una di queste soluzioni potrebbe consistere nell’ibridazione del modello arbitrale irrituale con elementi di quello rituale, e in particolare con il motivo di impugnazione di cui all’art. 829, co. 2 (ora co. 3) cod. proc. civ. In altri termini: il Tribunale arbitrale potrebbe pronunciare, in relazione all’impugnazione di una delibera sociale, un lodo irrituale; tale lodo dovrebbe però poter essere censurato anche per violazione delle regole di diritto applicabili al merito della controversia, superando così – solo in questa particolare materia, e in forza di specifica disposizione di legge – il granitico orientamento giurisprudenziale, ad avviso del quale l’errore di diritto sarebbe irrilevante in sede di impugnazione del lodo irrituale.
Non mancano in effetti precedenti che hanno ritenuto ammissibile l’arbitrato irrituale in materia di impugnazione di deliberazioni assembleari (tra i più recenti, Trib. Napoli, Sez. III Civ., 30 ottobre 2020, n. 7174, Trib. Milano, S.S.I.B, 14 giugno 2021, n. 5067 e Trib. Ancona, S.S.I., 7 dicembre 2021, n. 1591), senza tuttavia porsi il tema del coordinamento della disciplina: ciò poiché sovente si tratta di pronunzie con le quali il Giudice statuale afferma la competenza arbitrale (o più correttamente, trattandosi di arbitrato irrituale, l’improponibilità della domanda).
Questa strada, che quindi pur con qualche difficoltà potrebbe essere percorsa, è apparentemente sbarrata da un precedente di merito, peraltro reso con riferimento all’impugnazione di una deliberazione assunta da una società di persone. Il riferimento corre a Trib. Salerno, Sez. I Civ., 21 ottobre 2019, n. 3296, la cui efficacia persuasiva è però limitata dal poco approfondimento sul punto compiuto dal Giudice statuale.
Un altro recente precedente di merito (C. App. Milano, S.S.I., 29 luglio 2021, n. 2467), d’altronde, nonostante la sua motivazione sul punto non brilli per chiarezza, pare consentire la suddetta ibridazione, in quanto, in sede di impugnazione di lodo irrituale che a sua volta aveva pronunziato in tema di impugnazione di deliberazioni societarie, ha delibato nel merito (salvo ritenerla poi infondata) la doglianza, formulata ex art. 36 d.lgs. 5/2003, di violazione di norme di diritto.
Emerge in sostanza, da queste osservazioni, l’evidente e grave insufficienza della disciplina dettata dal legislatore nel 2003. La l. 26 novembre 2021, n. 206, di delega al Governo per la riforma del processo civile, prevede anche il riordino delle disposizioni applicabili all’arbitrato in Italia e l’inserimento nel codice di procedura civile delle norme contenute nel d.lgs. 5/2003. Sull’argomento oggetto di queste brevi note, purtroppo tacciono i principi e criteri direttivi della delega, e dunque pare essersi persa l’occasione – salvo rischiare un eccesso di delega – per non limitarsi a riordinare e trasferire disposizioni sparse in varie e diverse fonti, ma per provvedere altresì a razionalizzarle e migliorarle.
* In corso di pubblicazione anche su AIAOnline (arbitratoaia.com)
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